
Prima Lettura: Is 45,1.4-6;
Salmo: Salmo 95 (96);
Seconda Lettura: 1 Ts 1,1-5b;
Vangelo: Mt 22,15-21.
“Restituite a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio” (Commento di Fr. Enzo Bianchi – Bose…. Mi scuso se è un po’ lungo)
Negli ultimi giorni prima di essere catturato e subire la morte vergognosa di croce, a Gerusalemme Gesù si scontra con quelli che sarebbero stati i suoi accusatori durante il processo. Oggi la liturgia ci propone la prima controversia, quella sul pagamento del tributo a Cesare.
Di fatto Gesù paga i tributi, come Pietro aveva detto a quegli esattori (Mt 17,24-27). Ma qui farisei ed erodiani vogliono far cadere Gesù in un tranello, complottando contro di lui. D’altronde i partigiani di Erode, il re della Giudea posto al potere dei romani, dunque collaborazionisti con l’impero, chiedevano che i giudei pagassero le tasse a Cesare, a differenza dei farisei che su tale questione avevano un atteggiamento variegato al loro interno. In questo caso, seppur partendo da posizioni antitetiche, capi dei farisei ed erodiani trovano un accordo contro Gesù e inviano dei farisei anonimi a interrogarlo.
Ma ecco il tentativo di farlo cadere: “Maestro, è lecito, o no, pagare il tributo a Cesare?”. Gesù per tutta risposta chiede loro di mostrargli una moneta e li interroga sull’effigie stampata su di essa e sull’iscrizione. Costoro rispondono ovviamente che l’immagine e l’iscrizione sono di Cesare, allora Gesù pronuncia la famosa parola: “Restituite (verbo apodídomi) dunque a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio”.
Frase lapidaria, che ha solcato i secoli e che viene spesso invocata quando sorgono tensioni tra ciò che si deve a Dio e gli obblighi verso i poteri di questo mondo. In verità, questa parola di Gesù va innanzitutto compresa in profondità e letta in primo luogo nella situazione concreta di Gesù stesso, non applicata in modo letterale all’oggi. Come non ricordare, invece, l’abuso che i cristiani hanno fatto di questo detto? È su questa parola di Gesù che è stata elaborata in occidente la “teoria delle due spade”, secondo la quale la chiesa, che detiene il potere di Dio, pur rispettando Cesare esercita una giurisdizione superiore sui poteri di questo mondo, i quali devono esserle sottomessi: è la teocrazia medievale, secondo cui la chiesa detiene il potere assoluto e il re un potere subalterno. Quanto all’oriente, si ricordi la posizione simmetrica e contraria, il cosiddetto cesaropapismo, che considera l’imperatore, il basileús, come vescovo dei vescovi e capo supremo della chiesa sulla terra.
Ora, il detto di Gesù non allude affatto a queste o simili posizioni, e quando in epoca moderna la separazione tra chiesa e stato è diventata effettiva nella società, o per imposizione dello stato o per negoziazione (i concordati), in verità il problema non è stato risolto: il potere mondano a volte vuole confinare la chiesa nello spazio del privato; altre volte la chiesa vuole diffondere la religione civile che conviene allo stato, ricevendo in cambio da esso protezione e favori. La celebre parola di Gesù va dunque sempre ricompresa a partire da alcune semplici verità. Dicendo: “Restituite a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio”, Gesù si tiene lontano da una politicizzazione di Dio così come da una sacralizzazione del potere politico. Cesare non è né Dio né divino, come invece indicava l’iscrizione sulla moneta: “Tiberio Cesare figlio del divino Augusto, Augusto”; nello stesso tempo, Dio non può prendere il posto di Cesare attraverso l’istituzione religiosa.
Il cristiano deve pertanto essere un cittadino leale e capace di onorare il suo dovere verso lo Stato, ma sarà servo di Dio, mai servo degli uomini o di poteri umani; e soprattutto, si sentirà chiamato a una cittadinanza (políteuma) nel regno di Dio, nei cieli (cf. Fil 3,20). Il cristiano sarà fedele alla terra, senza esenzioni né evasioni dalla storia, senza invocare spiritualizzazioni o fughe “angeliche”, ma opererà nel mondo secondo la volontà del Signore, cercando il bene comune, la libertà, la giustizia, la riconciliazione, la pace. Restituire a Dio ciò che è di Dio significa rendergli un’umanità che non porta solo la sua immagine indelebile ma che si è fatta a lui rassomigliante: questo restituirgli l’umanità rassomigliante è il cammino dell’umanizzazione!
Allegati
· Letture della XXIX Domenica del tempo ordinario Anno A
· Udienza di Papa Francesco Mercoledì 18 Ottobre 2017: Beati i morti che muoiono nel Signore
Vi Saluto
Fraternamente
don Meco