Prima Lettura: Is 5,1-7;
Salmo: Salmo 79 (80);
Seconda Lettura: Fil 4,6-9;
Vangelo: Mt 21,33-43.
“Il Figlio inviato nella vigna” (Commento di Fr. Enzo Bianchi - Bose)
Gesù si trova nel tempio per annunciare con parabole la venuta del regno dei cieli. Oggi ascoltiamo la seconda di queste parabole, in realtà un’allegoria, indirizzata a quei sacerdoti e anziani del popolo che erano venuti a contestare Gesù interrogandolo sulla sua autorità, sull’origine della sua missione (cf. Mt 21,23-27). Ancora una volta Gesù ripete l’invito: “Ascoltate!”, ridice questo comando tante volte gridato da Mosè e dai profeti. Si tratta di smettere di sentire soltanto, per imparare ad ascoltare con attenzione una parola che viene dal Signore, ad accogliere nel cuore questa parola al fine di operare un mutamento e realizzare ciò che il Signore chiede a chi è e vuole essere in alleanza con lui.
Un’altra parabola che evoca una vigna. Nel Mediterraneo la vigna è la coltivazione per eccellenza, che comporta anni di lavoro, richiede cura e amore, esige un rapporto stabile e pieno di attenzione verso di essa da parte del vignaiolo. Vi è un legame duraturo, una vera e propria alleanza tra la vigna e il vignaiolo, che generano un amore profondo ed appassionato da parte di chi lavora per la “sua“ vigna. I profeti avevano intravisto nell’amore tra vignaiolo e vigna una narrazione dell’amore tra Dio e il suo popolo ed erano ricorsi all’immagine della vigna per esprimere il rapporto di alleanza. Una storia ben conosciuta da Gesù e dai suoi ascoltatori, perciò, non appena Gesù inizia la parabola dicendo che “un padrone aveva piantato una vigna“, i presenti capiscono subito di cosa si tratta: è una storia su Dio e su Israele, sua vigna. Questo canto che esprime la speranza di Dio e, nel contempo, l’incapacità del popolo di comprendere il suo amore, dunque un canto di accusa verso Israele, è stato conservato e tramandato proprio da Israele. E quando noi leggiamo questa parabola siamo facilmente tentati di puntare il dito contro questo popolo, fino a gloriarci di essere noi il popolo del Signore al quale è stata data la vigna tolta ad altri. Stiamo attenti, perché questa parabola che Matteo colloca nel vangelo indirizzato ai cristiani riguarda certamente i capi religiosi di Israele, ma riguarda anche i capi che sono nella chiesa e riguarda pure noi! Questa parabola risuona certamente come un giudizio di Dio: non però sul popolo d’Israele, ma su quei capi del popolo che hanno rigettato e condannato Gesù. La vigna è stata tolta a quei capi di Israele e data una nuova collettività umana (éthnos): la comunità dei poveri nello spirito, dei miti che, secondo la promessa del Signore, erediteranno la terra (cf. Mt 5,5; Sal 37,11), a quel popolo umile e povero costituito erede per sempre dal Signore (cf. Sof 3,12-13; Is 60,21; Ger 30,3). Anche nella chiesa può accadere come nella parabola dove, oggi magari si pratica la violenza del non ascolto, del rifiuto, dell’emarginazione, della calunnia, del disprezzo, della manipolazione, dell’abuso psicologico. Queste le tentazioni dei vignaioli perfidi, ma anche, qui e ora, di chiunque nello spazio ecclesiale, nella vigna, esercita l’autorità. Non si scarichi dunque l’accusa di questa parabola su Israele, ma si pensi a noi, oggi, nelle vigne delle chiese.
Allegati
· Letture della XXVII Domenica del tempo ordinario Anno A
· Udienza di Papa Francesco Mercoledì 04 Ottobre 2017: Missionari della speranza oggi
Vi Saluto
Fraternamente
don Meco