
LETTURE BIBLICHE
Prima Lettura: At 2,42-47;
Salmo: Salmo 117 (118);
Seconda Lettura: 1 Pt 3,3-9;
Vangelo: Gv 20,19-31.
II Domenica di Pasqua o della Divina Misericordia: Tommaso (Enzo Bianchi –Bose)
Il capitolo finale del quarto vangelo, Gv 20 (Gv 21 è un’aggiunta posteriore), andrebbe letto interamente, per comprendere in profondità “il primo giorno della settimana” il terzo giorno dopo la morte di Gesù. Il primo giorno della settimana è il giorno della resurrezione del Signore ma è anche quello in cui il Risorto si rende presente in mezzo ai suoi: è il giorno del Signore, il giorno dell’intervento decisivo di Dio che, risuscitando Gesù, ha vinto la morte.
Gesù è visto dai discepoli in mezzo a loro, al centro della loro assemblea, come colui che crea e dà unità, che “attira tutti a sé”.
In quella posizione di Kýrios, di Signore, il Risorto dice: “Pace a voi!”, il saluto messianico, parola efficace che porta pace, vita piena, e scaccia la paura. E affinché le parole siano autenticate dalla sua persona di Maestro, Profeta e Messia conosciuto dai discepoli nella loro vita con lui, Gesù mostra le mani e il fianco che recano ancora i segni della sua passione e morte. Gesù è presente con un corpo che non è un cadavere rianimato ma che viene a porte chiuse, non obbedendo alle leggi del tempo e dello spazio: un “corpo di gloria” un “corpo spirituale”, nel quale però restano i segni dell’aver sofferto la morte per amore. Sono segni di passione e insieme di gloria, segni dell’amore vissuto “fino alla fine, all’estremo”….“E i discepoli gioirono al vedere il Signore”.
I discepoli hanno accolto l’Inviato di Dio, lo hanno seguito e hanno creduto in lui; ora sono inviati in tutto il mondo, per essere come lui, Gesù, è stato in tutta la sua vita: testimoni della verità, della fedeltà di Dio, cioè del suo amore per l’umanità.
Per essere abilitati a questa missione, devono essere ricreati: occorre un’immersione nello Spirito santo, occorre lo Spirito come nuovo soffio nel cuore di carne. Allora Gesù, il Risorto che respira lo Spirito santo, lo effonde sulla sua comunità. Noi cristiani, vasi di creta fragili e peccatori, per dono di Gesù risorto respiriamo lo Spirito santo che perdona i peccati e ci abilita alla vita eterna nel Regno di Cristo. Siamo dunque il corpo di Cristo, il “tempio dello Spirito santo”. Lo stesso Spirito che ha risuscitato da morte Gesù è datore di vita ai discepoli, e da “compagno inseparabile di Cristo” (Basilio di Cesarea), diventa compagno inseparabile per ogni cristiano. Fatta questa esperienza, i discepoli annunciano a Tommaso, non presente alla prima manifestazione del Risorto: “Abbiamo visto il Signore!”. È l’annuncio pasquale che dovrebbe essere sufficiente per accogliere la fede nel Risorto. Ma Tommaso non crede, quelle parole gli sembrano vaneggiamenti inaffidabili.
“Otto giorni dopo”, dunque nel primo giorno della seconda settimana dopo la tomba vuota, ecco Tommaso e gli altri di nuovo insieme. E Gesù viene però anche per Tommaso e anche a lui si fa vedere con i segni del suo amore: le stigmate della sua passione impresse per sempre nella sua carne gloriosa. La resurrezione cancella i segni della morte e del peccato ma non i segni dell’amore vissuto, perché l’aver amato ha una forza che trascende la morte. Gesù dunque invita Tommaso ad avvicinarsi e a mettere il suo dito in quelle stigmate.
E qui, attenzione, non sta scritto che Tommaso mise il suo dito, ma che disse: “Mio Signore e mio Dio!”. Riconoscendo nelle stigmate l’amore vissuto da Gesù, Tommaso fa la confessione di fede più alta e piena in tutti i vangeli: Gesù è il Signore, Gesù è Dio. Tommaso non è certo un modello, anche se in lui possiamo riconoscerci. Per questo Gesù gli dice: “Beati quelli che, senza avere visto, giungono a credere”. È conoscendo l’amore vissuto dal Crocifisso che si inizia a credere: miracoli e apparizioni non ci fanno accedere alla vera fede. Solo la parola di Dio contenuta nelle sante Scritture, solo l’amore di Gesù di cui il Vangelo è annuncio e narrazione (“segno scritto”, per dirla con la chiusura del vangelo), solo lo stare nello spazio della comunità dei discepoli del Signore, ci possono portare alla fede, facendoci invocare Gesù quale “nostro Signore e nostro Dio”.
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