VITA CRISTIANA Lettura Domenicale

Cari Amici,

 

LETTURE BIBLICHE 

Prima Lettura:      At 15,1-2.22-29;

Salmo:                    Salmo 66 (67);

Seconda  Lettura:  Ap 21,10-14.22-23;

Vangelo:                 Gv 14,23-29.

 

La VI domenica di Pasqua Ecco alcune riflessioni di Enzo Bianchi

In questo tempo pasquale la chiesa continua a offrirci i “discorsi di addio e di arrivederci” di Gesù (cf. Gv 13,31-16,33), collocati nell’ultima cena ma parola di Gesù glorificato, del Signore risorto e vivente che si rivolge alla sua comunità aprendole gli occhi sul suo presente nella storia, una volta avvenuto il suo esodo di Figlio da questo mondo al Padre (cf. Gv 13,1).

Giuda, non l’Iscariota, chiede a Gesù: “Signore, come è accaduto che devi manifestarti a noi, e non al mondo?” (Gv  14,22). È una domanda che deve aver causato anche sofferenza nei discepoli: tutta quella avventura insieme a Gesù per anni, poi alla fine Gesù se ne va e sembra che nulla sia veramente cambiato nella vita del mondo, che tutto resti come prima… Una piccola e sparuta comunità ha capito qualcosa perché Gesù si è manifestato a essa, ma il grande mondo, gli altri, non hanno visto e non vedono nulla. A cosa si riduce quella venuta del Figlio dell’uomo sulla terra, quella vita in attesa del regno di Dio imminente che Gesù proclamava? Tutto qui?

Gesù allora risponde: “Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e faremo dimora presso di lui”. Ecco perché Gesù non si manifesta al mondo che non crede in lui, che gli è ostile perché non riesce ad amarlo: per avere la manifestazione di Gesù occorre amarlo! Ogni volta che leggo queste parole, tremo e sono turbato in profondità: Gesù, figlio di Maria e di Giuseppe, uomo come noi, non ci chiede solo di essere suoi discepoli, di osservare il suo insegnamento, ma anche di amarlo, perché amandolo si compie ciò che lui vuole e facendo ciò che lui vuole lo si ama. In ogni caso, qui l’amore viene definito necessario per la relazione con Gesù. Amare, parola grossa, eppure è così: Gesù legge la relazione con il discepolo non solo nella fede, nell’obbedienza all’insegnamento, nella sequela, ma anche nell’amore. Possiamo dire che questo amore non è l’amore erotico, di desiderio dell’altra persona, come desideriamo amarci tra noi umani?

Gesù non è più tra di noi con la sua presenza fisica, in quanto glorificato, risuscitato dallo Spirito e vivente presso il Padre, ma la sua parola, conservata nella chiesa, lo rende vivente nell’assemblea che lo ascolta, Presenza divina che fa di ogni ascoltatore la dimora di Dio. Quella “Parola (Lógos)” che “si è fatta carne (sárx)” (Gv  1,14) in Gesù di Nazaret si è fatta voce (phoné) e quindi lógos, parola degli umani, e in ogni credente si fa Presenza di Dio (Shekinà), si fa carne (sárx) umana del credente, continuando a dimorare nel mondo (cf. Gv 17,18). Ma di tutta questa dinamica di presenza è assolutamente artefice lo Spirito di Dio che è anche lo Spirito di Cristo.

È l’altro Inviato dal Padre, è l’altro Maestro inviato dal Padre, è l’altro Consolatore inviato dal Padre.Certo, nell’andarsene Gesù vede la sua opera, quella che umanamente ha realizzato in obbedienza al Padre, “incompiuta”, perché i discepoli non capiscono ancora, perché la verità nella sua pienezza non è ancora rivelabile e lui stesso avrebbe ancora molte parole da dire, molti insegnamenti da dare, molte cose da rivelare… Eppure ecco che Gesù ci insegna l’arte di “lasciare la presa”: se ne va senza ansia per la sua comunità e per il suo destino, ma anzi con la fiducia che c’è lo Spirito, il Consolatore e Difensore, il quale agirà nella comunità da lui lasciata; insegnerà molte cose necessarie e che egli stesso, Gesù, si era inibito di insegnare perché la comunità non era pronta a recepirle e a comprenderle; e soprattutto darà ai discepoli una forza e tanti doni che essi non possedevano.

 

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