
Prima Lettura: At 4,8-12;
Salmo: Salmo 117 (118);
Seconda Lettura: 1 Gv 3,1-2;
Vangelo: Gv 10,11-18.
“Gesù, il pastore santo, bello e buono ” (commento a cura di fr. Enzo Bianchi Bose)
Nei brani evangelici che la chiesa (dopo quelli delle manifestazioni del Risorto) ci propone per il tempo pasquale, sempre tratti dal quarto vangelo, è il Gesù Cristo risorto che parla alla sua comunità, rivelando la sua identità più profonda, identità che viene da Dio suo Padre. Il Signore vivente per sempre è più che mai autorizzato a presentarsi con il Nome stesso di Dio: “Io sono” (Egó eimi). Quando Mosè aveva chiesto a Dio che gli parlava dal roveto ardente di rivelargli il suo Nome, Dio aveva risposto: “Io sono” (Es 3,14), Nome ineffabile, nome indicibile inscritto nel tetragramma JHWH.
Il Cristo vivente si rivela dunque come “Io sono”, e specifica: “Io sono il pane della vita” (Gv 6,35); “Io sono la luce del mondo” (Gv 8,12); “Io sono la porta delle pecore” (Gv 10,7); “Io sono la resurrezione e la vita” (Gv 11,25); “Io sono la via, la verità e la vita” (Gv 14,6); “Io sono la vite” (Gv 15,5). Nel nostro brano, dopo essersi presentato come la porta dell’ovile, Gesù dichiara per due volte: “Io sono il pastore buono e bello” (kalós), riassumendo in sé l’immagine di tutti i pastori donati da Dio al suo popolo (Mosè, David, i profeti), ma anche l’immagine di Dio stesso, invocato e lodato come “Pastore di Israele” (Sal 80,2), dei credenti in lui.
Il buon pastore è l’opposto del pastore salariato, che fa questo mestiere solo perché pagato, che guarda alla ricompensa per il lavoro, ma che in verità non ama le pecore: queste non gli appartengono, non sono destinatarie del suo amore e non contano nulla per lui. Lo dimostra il fatto che, quando arriva il lupo, egli abbandona le pecore e fugge via: vuole salvare se stesso, non le pecore a lui affidate! Chi è il pastore mercenario o salariato? È un funzionario, è colui che svolge il compito per il salario che riceve o semplicemente perché l’essere pastore è ritenuto un onore che gli provoca riconoscimento e gli dona anche gloria. Ma lo si deve dire: il pastore salariato è facilmente riconoscibile nel quotidiano, perché sta lontano dalle pecore e non le ama. A lui basta governarle!
Sì, la prima qualità del pastore autentico è la vicinanza alle pecore: sta con loro notte e giorno, nei deserti e nei prati, sotto il sole e sotto la pioggia. Papa Francesco ha parlato di “prossimità della cucina”, cioè dello stare là dove “si cucinano” le cose decisive, quelle che contano per ogni pecora, per ogni gregge; ha parlato di pastore che deve avere addosso “l’odore delle pecore”. Immagini forti, che indicano l’urgenza che i pastori non stiano al di sopra né ai margini, ma “in mezzo”, in piena solidarietà con le pecore
Sulla tomba di un cristiano della fine del II secolo, un certo Abercio, si legge questa iscrizione: “Sono il discepolo di un pastore santo che ha occhi grandi; il suo sguardo raggiunge tutti”. Sì, Gesù è il pastore santo, buono e bello, con occhi grandi, che raggiungono tutti, anche noi oggi. E da questi occhi noi ci sentiamo protetti e guidati.
Allegati
· Letture della IV Domenica di Pasqua-Anno B
· Papa Francesco Udienza del 18 Aprile 2018: Il Battesimo_2
Nota
- Per chi fosse interessato ad approfondire la Parola di Dio della Domenica, dal Giovedì c’è l’intervento molto illuminante del biblista don Claudio Doglio, parroco a Varazze. Lo trovate sul suo sito.
https://dondoglio.wordpress.com/
Vi Saluto
Fraternamente
don Meco